ESTERNO DELLA CHIESA

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La chiesa di San Francesco è stata testimone nell’ottocento del fiorire a Torino della dottrina sociale della chiesa, qui operarono e si fecero portatori in tutto il mondo due grandi testimoni di queste esigenze sociali cristiane: San Giovanni Bosco e San Giuseppe Cafasso.
Qui venne educato e celebrò la sua prima messa San Giovanni Bosco e qui iniziò il suo primo oratorio con i ragazzi di strada, incoraggiato da San Cafasso, suo confessore.
Quest’ultimo fu rettore per molti anni di questa chiesa e qui morì nel 1860
San Cafasso era popolare a Torino in particolare per l’aiuto offerto ai carcerati, anche col supporto morale ed
economico alle loro famiglie. Venne definito «il prete della forca» perché spesso si presentava alle esecuzioni capitali seguendo il condannato a morte fino al patibolo per abbracciarlo e farlo sentire amato
Secondo un’affermata tradizione, la chiesa dell’ordine dei Minori Francescani è stata fondata da Francesco stesso, di passaggio a Torino nel 1214:
…San Francesco venendo d’Assisi…. per andare in Francia passò da Chieri…. indi andò a Torino dove cominciò da una piccola chiesuola …. .che gli fu conceduta dal Comune della città… (come dice Ferrero di Lauriano nel 1712 per spiegare le origini della chiesa, anticamente detta ad turrinum, perché vicina alla torre comunale)
Anche se non direttamente al Santo di Assisi essa risale di certo al XIII secolo, infatti tracce di mura di mattoni e finestre medievali sono ancora presenti nella torre campanaria.
La chiesa venne riedificata in forme gotiche nel trecento ed assunse grande importanza nella vita della città soprattutto per la sua posizione nel centro della città e in prossimità della “Contrada della Dora Grossa” l’attuale Via Garibaldi.
Era molto forte il legame tra i francescani e il comune, che si concretava soprattutto nella custodia della cassa e dell’archivio comunale ad opera dei frati.
Nel 500 fu dimora della Sacra Sindone, trasferita dai duchi di Savoia da Chambery a Torino, insieme con lo spostamento della loro capitale. La chiesa affidata ai frati minori Conventuali subì un declino progressivo, così
Nel 1608 si iniziò la ricostruzione della chiesa e del convento adiacente; le cappelle nelle navate laterali furono decorate ed abbellite dalle famiglie nobili e dalle ricche corporazioni (mastri luganesi, speziali, sarti,…) che le avevano acquistate per celebrarvi le feste dei santi patroni e per ottenervi il diritto di sepoltura.
Nel 1761, come si legge sul fregio, il definitivo rifacimento ad opera dell’architetto torinese Bernardo Vittone che diede alla chiesa l’odierno aspetto tardo settecentesco
La facciata classicheggiante è ad ordine unico sul modello dei templi romani.
Vittone scelse questa soluzione perchè , come dice lui stesso, la chiesa era situata in una strada
piuttosto angusta e per la necessità di procurare tutto il lume possibile.
La parete muraria è alleggerita e mossa da eleganti portali e dagli ampi finestroni che li sovrastano.
Sopra le porte laterali sono i busti di San Francesco d’Assisi e di Sant’Antonio da Padova. Il campanile barocco è a tre piani con cella campanaria e monofore tamponate.


INTERNO DELLA CHIESA

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L’interno della chiesa è a tre navate con volte a crociera. La navata centrale, più larga e sopraelevata, ha una ricca decorazione a stucchi bianchi e dorati con dipinti ottocenteschi raffiguranti le litanie della Vergine.
L’interno riceve luce da grandi finestroni ovali aperti sopra le arcate.
L’impressione generale è di un mix di sovrapposizioni di stili, frutto dei continui rifacimenti ed ammodernamenti nel corso dei secoli, ma che dà un senso di calda accoglienza.
Appoggiata alla controfacciata la cantoira con l’organo a intagli dorati del primo ottocento, sorretto da confessionali tardo settecentesco.
D’epoca vittoniana sono i vari confessionali barocchi della seconda metà del Settecento di tipo piemontese caratterizzati dalle facce curve. Alcuni sono sormontati da due angioletti che reggono uno scudo con l’emblema francescano delle braccia incrociate.
Anche il bel pulpito con baldacchino e pannelli finemente intagliati è sorretto da un confessionale.
Anche il cardinal Roncalli, allora patriarca di Venezia e futuro 261° Papa, oggi santo, predicò da questo pulpito.
Sulla vs sinistra potete osservare il confessionale di San Cafasso, padre spirituale e confessore di Don Bosco.
Le sei cappelle della navata di destra, tutte con volte a botte con tondi lucernari al centro, custodiscono pregevoli opere realizzate da artisti torinesi.”;


ALTARE DELL’ANNUNZIATA

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Questa è una delle più antiche cappella e mantiene l’impronta originaria del primo Seicento. Ha un sobrio altare marmoreo con trabeazione rettilinea e paliotto di marmi intagliati a semplici disegni geometrici.
Questa è la cappella del collegio dei Causidici e Procuratori, proprietari dal 1506.
I dipinti alle pareti, commissionati dal Collegio, a Giovanni Molineri rappresentano la Visitazione e la Madonna
del Rosario.
I dipinti dei santi patroni del Settecento, originariamente nella cappella, si trovano ora nella sagrestia.


ALTARE DEL CROCIFISSO

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Questa cappella è una delle più belle e preziose della Chiesa.
Come dici l’iscrizione sull’arco della cappella venne eretta nel 1636 ed abbellita dal governatore di Ivrea nella seconda metà del Settecento.
Sull’altare settecentesco a marmi policromi disegnato dal Vittone si staglia uno degli slanciati crocefissi lignei scolpiti dal luganese Carlo Plura. E’ il Christus patiens. Cristo è colto nel suo ultimo momento di vita con il volto rivolto verso l’alto ad implorare Dio padre ed inizia le parole del salmo: ‘Dio Mio Dio Mio perché mi hai abbandonato?’. Il corpo del Signore è stato scolpito con mirabile realismo, Cristo non è morto, gli occhi sono socchiusi e la muscolatura è tesa perchè ancora vitale. Il Plura mostra tutta la sua padronanza nel realizzare l’anatomia maschile; i piedi non sono sovrapposti, come nella consuetudine, ma appaiati. E’ un’opera questa di notevole portata formale, finalizzata a creare una partecipazione dei fedeli alla  passione del Signore, in conformità anche alla spiritualità francescana. Un altro crocefisso del Plura, ma di minore coinvolgimento emotivo, si trova nella Cappella Regia sopra al tabernacolo del Piffetti.
I due bianchi angeli inginocchiati sulla trabeazione sono tra gli esempi migliori del torinese Stefano Clemente.
Vittoniana è anche l’elegante inferiata di disegno barocco tra i panciuti pilastri di breccia violacea, materiale meno nobile del marmo.


ALTARE DEI SANTI BIAGIO E LIDUVINA

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La cappella è ricca di marmi e sulla parte superiore dell’altare un coro di angioletti bianchi con la colomba mistica tra nubi e raggi dorati, tipicamente barocco.
La tela con i due santi titolari ai piedi della Madonna è molto rovinata ed è firmata da Isabella Maria Dal Pozzo, che lavorò al servizio della principessa Luisa di Savoia e successivamente a Monaco di Baviera alla corte di Adelaide di Savoia e di suo figlio Massimiliano II.


ALTARE DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE

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La cappella è più ampia e profonda delle altre quasi a formare il braccio di un transetto, rivisitata nel Settecento e successivamente nell’Ottocento.
La Compagnia della Concezione fece erigere nel 1704 l’altare in marmo, ma venne ricostruita nel 1780, come si legge nell’iscrizione al centro della trabeazione
Il monumentale altare in marmi rossi e neri è adornato dalle statue dell’Immacolata e dei profeti Isaia e Geremia ed è coronato da uno scenografico gruppo ligneo laccato in bianco con la Trinità in gloria fra gli angioli, opera dello scultore piemontese Giovan Battista Bernero.
Alle pareti due quadri di Luigi Molineris datati fine Ottocento con l’Apparizione di Lourdes e la Definizione del Dogma.


ALTARE DI SANT’OMOBONO

La compagnia dei Sarti, una delle prime associazioni di mestiere costituitasi all’epoca di Carlo Emanuele I si riuniva in San Francesco già agli inizi del Seicento. Trasformatisi in Università, nell’accezione latina di congragazione, incaricò l’architetto Luigi Barberis, allievo di Benedetto Alfieri, di costruire l’attuale cappella.
Nel quadro sull’altare è raffigurato un episodio dell’elemosina del Santo ai mendicanti del pittore boemo Mayerle. Alle pareti due belle tele del cuneese Alessandro Trono con i miracoli del Santo e due ovali con Storie di San Francesco di Ignazio Nepote.
Nella cappella è custodita una reliquia del santo, come testimonia la lapide posta sul pavimento. La cappella appartiene tutt’ora alla Congregazione dei Sarti.


ALTARE MAGGIORE E PRESBITERIO

Il fastoso altare maggiore in marmi policromi, disegnato dal Vittone, è un altare alla romana con ripiani per i candelabri, analogo a quello progettato per la vicina Chiesa di San Rocco. L’altare leggermente curvo ha una mensa sostenuta al centro da un’urna con griglia metallica, dove venne collocata la reliquia di Sant’Innocenzo trasferito dalle catacombe e dato in dono al futuro Papa Clemente XIV, francescano.
Nelle feste solenni un paliotto in legno dorato copre l’altare. Il paliotto, conservato in sacrestia, è opera dell’intagliatore Bonzanigo che riproduce San Francesco nel momento in cui riceve le stigmate.
Ai lati dell’altare stanno le due grandi figure di angeli di marmo bianco, probabilmente opera della scuola del Clemente.
Il presbiterio è a pianta quadrata con ampia cupola su base circolare. La luce penetra dal cupolotto e dalle finestre aperte dal Vittone. Negli spicchi della cupola e nei pennacchi putti e cherubini dipinti da Milocco.
Curioso l’effetto delle nubi trattate parzialmente a stucco.
Origine alla chiesa seicentesca sono le pitture delle pareti, attribuite a Recchi, pittore comasco. Esse rappresentano la Prova del fuoco di San Francesco davanti al Soldano d’Egitto ed iI Battesimo del Soldano.
Gli ovali delle pareti del coro sono ancora di Milocco così come l’affresco nella volta.


ALTARE DI SAN PIETRO

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A sinistra del presbiterio la Cappella di San Pietro sotto il campanile era di patronato dell’Università dei Serraglieri o mastri ferrai. Nella cappella opere giovanili di Beaumont. Si racconta che in occasione della festa patronale, L’Università dei Serraglieri faceva distribuire in città 1400 michette di pane.


ALTARE DELL’ANGELO CUSTODE

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Nella navata sinistra opposta alla Cappella dell’Immacolata Concezione, si trova la cappella di Don Bosco, originariamente dedicata all’Angelo Custode rappresentato nel quadro sopra all’altare. La cappella era di patronato della famiglia Turinetti. In questa cappella Don Bosco celebrò la sua prima messa insieme con San Cafasso.


ALTARE DI SANT’ANTONIO

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Superata la spoglia cappella di Santa Lucia, la cappella di Sant’Antonio presenta due stupendi angeli che sorreggono la cornice sopra l’altare. Da notare l’elegante fattura opera di Clemente.


ALTARE DI SANT’ANNA

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Il trasferimento della capitale del ducato sabaudo da Chambéry a Torino nel 1563 diede l’avvio a numerosi cantieri per il rinnovamento edilizio e urbano della città. La presenza stabile di lavoro richiamò in Piemonte maestranze specializzate nella costruzione e nella decorazione plastica (in marmo e stucco) e pittorica di chiese e palazzi. Questi artisti e artigiani provenivano in particolare dai territori prossimi al lago di Lugano ed erano organizzati in piccole imprese familiari che stagionalmente giungevano a Torino. Il saldo legame di questa comunità con il capoluogo sabaudo venne sancito, nel 1636, con la costruzione della cappella dedicata a sant’Anna, già sede della loro omonima corporazione di mestiere.
Dell’importante associazione, già esistente ai tempi di Emanuele Filiberto con il nome di Compagnia di Sant’Anna, facevano parte capomastri, tagliapietra, costruttori, architetti, stuccatori e pittori . Dopo la soppressione delle Università di arti e mestieri volta da Carlo Alberto nel 1844 anche quella dei mastri luganesi si trasformò in società di mutuo soccorso. I lavori nella cappella terminarono all’inizio del 1637 e nell’estate dello stesso anno il plasticatore Alessandro Casella di Carona ne compì una prima decorazione in stucco poi arricchita dai lavori di Francesco Bettino (1713) e Giovanni Battista Sanbartolomeo (1762).
Qualche anno più tardi, come si legge nei verbali della Compagnia, nel 1658, un altro membro della famiglia Casella, Giovanni Andrea, lavorò agli affreschi, successivamente sostituiti durante il restauro ottocentesco.
Solo la secentesca figura di padre benedicente al centro della cupola sembra essere ancora del Casella. Questi lavorò con i Recchi, il Dauphin ed il Caravoglia in Palazo Reale , al Valentino e sembra nel Palazzo della Città.
La pala dell’altare è attribuita a Federico Zuccari e rappresenta la Madonna con il Bambino e Sant’Anna.


ALTARE DI SAN GIUSEPPE CAFASSO

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La prima cappella a sinistra è dedicata a San Cafasso, rettore della Chiesa che qui morì nel 1860. La cappella era di dal 1638 di patronato del Collegio degli speziali, costituitosi a Torino nella seconda metà del Cinquecento.
L’altare venne eseguito su disegno di Martinez, nipote di Juvarra, con due angioletti in legno marmorizzato
del Clemente. L’attuale quadro raffigurante Cafasso venne posto in occasione della beatificazione in sostituzione di quello secentesco raffigurante i santi Cosma e Damiano, patroni degli speziali.


MADONNA DI MEZZANOTTE

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Tra la cappella dei mastri e quella degli speziali sulla colonna della navata centrale una delicata immagine
della Madonna con il bambino, unica testimonianza della decorazione gotica della chiesa. Questa Madonna è detta da Rondolino Madonna di mezzanotte, riferendosi ad un probabile altare della Madonna di Mezzanotte citato in resoconto di una visita apostolica del 1584.


SACRESTIA

Nella Sacrestia sono conservate le tele di san Filogamo e sant’Aratore provenienti dalla cappella della Santissima Annunziata ed il paliotto.
Qui avvenne l’incontro storico tra don Bosco e il primo ragazzo del suo Oratorio, Bartolomeo Garelli. Lo strappò dalle mani di un sacrestano che lo stava picchiando e lo invitò ad ascoltare la sua Messa. Poi tenne con lui un piccolo dialogo, e l’Oratorio cominciò con una breve lezione di catechismo.


Nelle sue memorie Don Bosco riferisce di questo primo incontro così:
Mio caro amico, come ti chiami? – Bartolomeo Garelli.
Di che paese sei? – Di Asti.
E vivo tuo papà? – No, è morto.
E tua mamma? – Anche lei è morta.
Quanti anni hai? – Sedici.
Sai leggere e scrivere? – Non so niente.
Hai fatto la prima Comunione? – Non ancora.
E ti sei già confessato? – Sì, ma quando ero piccolo.
E vai al catechismo? – Non oso.
Perché? – Perché i ragazzi più piccoli sanno rispondere alle domande, e io che sono tanto grande non so niente. Ho vergogna.
Se ti facessi un catechismo a parte, verresti ad ascoltarlo? – Molto volentieri.
Anche in questo posto? – Purché non mi prendano a bastonate.
Stai tranquillo, nessuno ti maltratterà. Anzi, ora sei mio amico, e ti rispetteranno. Quando vuoi che cominciamo il nostro catechismo? – Quando lei vuole.
Stasera? – Va bene.
Anche subito? – Con piacere.
Mi alzai e feci il segno della santa Croce per cominciare. Mi accorsi però che Bartolomeo non lo faceva, non ricordava come doveva farlo. In quella prima lezione di catechismo gli insegnai a fare il segno di Croce, gli parlai di Dio Creatore e del perché Dio ci ha creati.

Nella sacrestia è visibile il «coretto» dove don Bosco faceva catechismo ai suoi primi ragazzi, e accanto è il piccolo cortile dove quei giovani fecero le prime timide corse, o si scaldavano al sole insieme con don Bosco.”;